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Giovedì, 26 dicembre 2024

OPINIONI

La base dei commercialisti dice «Basta»

Non si cambiano le sorti del Paese abolendo l’esame di Stato, ma pensando a una P.A. collaborativa e non vessatoria e a una delegificazione seria

/ Luigi CARUNCHIO e Eleonora DI VONA

Martedì, 5 luglio 2011

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Pubblichiamo l’intervento di Luigi Carunchio ed Eleonora Di Vona, rispettivamente presidente e componente della Giunta Nazionale UNGDCEC.

Riflettiamo sugli accadimenti che hanno riguardato la nostra amata categoria in questi giorni della manovra di Governo. Assistiamo a un atteggiamento del mondo politico di disprezzo nei nostri confronti, frutto non solo di un preciso attacco alla categoria, ma che affonda le radici in una incapacità della stessa di accreditarsi. Non paga esserci solo quando è il momento di fare proposte costruttive e utili al paese, ma anche quando arriva il momento in cui occorre fare sentire la nostra voce. Questo momento è decisamente arrivato. Sig. Ministro Tremonti, vorremmo rivolgerle alcune domande: Lei si farebbe operare a cuore aperto da un dottore commercialista? Farebbe fare la sua dichiarazione dei redditi a un medico? Chiederebbe al Presidente del Consiglio di revocare i propri avvocati per farsi difendere da un Ingegnere? Crediamo di conoscere la risposta.

Con forza noi dottori commercialisti diciamo “Basta”. È ridicolo porre queste domande al Ministro Tremonti, quanto lo è proporre l’abolizione dell’esame di Stato. Siamo stufi che ogni Governo, di qualsiasi colore politico, pensi di scaricare sui cittadini le proprie responsabilità e incapacità di affrontare e risolvere i problemi del Paese. Noi professionisti siamo tutti i giorni a fianco di imprese, ONLUS ed enti locali troppo spesso lasciati al loro destino, per aiutarli a sopravvivere. Per garantire al nostro Paese uno sviluppo vero, una crescita che non escluda nessuno, anzi che valorizzi i meriti e le capacità. Noi professionisti ci siamo ogni giorno, con umiltà e abnegazione. Davvero qualcuno può pensare di cambiare le sorti del Paese o di fare innovazione abolendo l’esame di Stato? Violando l’art. 33 della Costituzione? Perché invece non si pensa a una P.A. collaborativa e non vessatoria ed a una delegificazione seria?

Se guardiamo all’Europa, siamo il Paese a più alta inflazione normativa utile solo a coprire le inefficienze di un sistema ormai incrostato di burocrazia che parte dall’alto del Ministero per arrivare fino all’ultimo ufficio di periferia. Nella nostra professione, le donne e i giovani sono maggioranza. Abbiamo abolito il divieto di fare pubblicità e le tariffe minime. Sorge una domanda: ma qualcuno ha avvisato il manovratore di tutto questo?
Questa casta vive da tempo lontana dalla realtà. Ci domandiamo: quando è stata l’ultima volta che un Ministro è andato al supermercato a fare la spesa? Quando ha parlato con un operaio in cassa integrazione che fatica a tirare la fine del mese? Quando ha fatto la fila per comprarsi un biglietto del treno? Non hanno mai avuto tempo, troppo impegnati a scendere da un auto blu e a salire su un aereo di Stato. Si ricordino ed abbiano ben presente che se questo Paese e le sue partite IVA hanno sino ad oggi retto alla crisi lo si deve anche al nostro ruolo, al fatto che molti di noi aspettano ancora che i loro clienti riescano a saldare le parcelle, al ruolo di ammortizzatore sociale che svolgiamo tutti i giorni.

Per tutto questo e molto altro chiediamo rispetto e serietà. Per questo, oggi, l’UNGDCEC è in campo per far sentire le ragioni vive di una categoria, con oltre 100.000 iscritti (altro che corporazione da liberalizzare) che dà lavoro a centinaia di migliaia di persone. Per questo chiamiamo a fare fronte comune gli altri sindacati dei commercialisti e tutto il sistema delle professioni, nessuno escluso.
Le professioni nel nostro Paese rappresentano il 14% del PIL. Forse è arrivato il momento in cui tutti assieme, a prescindere dagli interessi particolaristici, facciamo sentire la nostra voce. È arrivato il momento di alzare le barricate uscendo dall’istituzionalità dei ruoli. Non conta se si rappresenta una delle Casse o il Consiglio Nazionale: ciò che è in ballo è il nostro futuro e non le poltrone.
Avremmo apprezzato molto che il documento sottoscritto da tutte le associazioni, a prescindere dai singoli interessi, recasse l’adesione non solo del nostro Consiglio, ma anche quella delle nostre due Casse. Le ripicche di lontana memoria non servono ai nostri iscritti.  Noi c’eravamo e abbiamo sostenuto le istanze delle Casse e del Consiglio quando servivano per gli iscritti: senza l’uno non ci può essere l’altro.  Il resto è solo emulazione del basso livello politico che sta vivendo il nostro Paese. Il compianto Moro diceva che i politici si occupano di elezioni, gli statisti delle future generazioni. Dobbiamo iniziare a seguire quel consiglio e dare l’esempio.

Al nostro Consiglio Nazionale chiediamo di agire finalmente e con forza a difesa della categoria e che, partendo dalla FPC, dia un chiaro e forte segnale di serietà: chi non rispetta le leggi e le regole che ci si è dati deve essere sanzionato. Si invitino e sostengano gli Ordini locali a comminare le sanzioni necessarie e vengano pubblicati gli elenchi di chi è in regola con la formazione, senza sconti e favoritismi per nessuno. Diamo noi per primi il buon esempio. Noi amiamo profondamente l’Italia ed ogni giorno lavoriamo e ci impegniamo fiduciosi che il lavoro di ognuno di noi sia un contributo al suo sviluppo. Questo Paese merita davvero di più, i suoi cittadini e, tra di essi, i professionisti meritano maggiore rispetto.

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