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OPINIONI

Deducibilità degli ammortamenti, è il momento del ritorno del quadro EC

Gli orientamenti della Cassazione indurranno molte imprese a indicare in bilancio ammortamenti pari al massimo fiscalmente deducibile

/ Fabrizio BAVA e Alain DEVALLE

Lunedì, 2 novembre 2015

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La mancata indicazione, in Nota integrativa, della motivazione alla base della modifica degli ammortamenti iscritti in bilancio rappresenta una violazione delle disposizioni civilistiche in tema di bilancio (si veda “Modifica del piano di ammortamento da motivare in Nota integrativa” del 27 ottobre 2015).

Se l’affermazione sopra riportata non desta particolare interesse, in quanto nota, meno scontate sono le recenti decisioni della Cassazione (nn. 22016/2014 e 20678/2015) che hanno sancito l’indeducibilità dei maggiori ammortamenti iscritti rispetto ai precedenti esercizi in mancanza di tale motivazione in Nota integrativa. Ci riferiamo, infatti, ad ammortamenti iscritti in bilancio nel limite dell’ammontare massimo deducibile.

Da un lato, i giudici non potevano non rilevare la violazione di una prescrizione civilistica, ma, allo stesso tempo, avrebbero forse dovuto tenere in considerazione che non è mai la violazione di una norma di legge, di per sé, a rendere non veritiero il bilancio, in quanto lo stesso può divenire non veritiero soltanto in relazione alla significatività delle conseguenze di tale violazione sulle decisioni che assumono i relativi destinatari.

Gli amministratori rispondono in sede civile dei danni eventualmente subiti dai terzi a causa di bilanci non redatti nel rispetto delle disposizioni di legge. L’iscrizione di maggiori ammortamenti in bilancio è in grado di provocare danni ai terzi, ma soltanto nei confronti dei soci/azionisti di minoranza, in quanto diminuisce l’utile a loro attribuibile ed eventualmente distribuibile.

Nei casi in cui gli ammortamenti vengono incrementati rispetto agli esercizi precedenti e tale comportamento deriva da una decisione dei soci/amministratori (in assenza di soci di minoranza, come avviene nella quasi totalità delle PMI italiane), nessuno ha subito danni da tale comportamento, tantomeno l’Erario, poiché le imprese hanno dedotto ammortamenti nel limite dell’ammontare deducibile, lungo un periodo più lungo di quello inizialmente previsto.

L’Amministrazione finanziaria, a nostro avviso, dovrebbe contestare la violazione di una norma civilistica soltanto quando tale violazione è stata strumentale ad ottenere un ingiusto vantaggio fiscale, come nel caso di iscrizione di costi fittizi in bilancio, violazione del principio di competenza economica, cancellazione dei crediti in assenza dei presupposti previsti dai principi contabili e così via.

Il legislatore potrebbe facilmente eliminare alla radice il problema, introducendo nuovamente un meccanismo di deduzione degli ammortamenti quale quello del quadro EC, ovvero prevedendo che gli ammortamenti siano deducibili entro i limiti previsti, indipendentemente dall’imputazione a bilancio.
Diversamente, a seguito di sentenze della Cassazione simili a quelle citate, la “difesa” dei redattori dei bilanci sarà nota: saranno sempre di più le imprese che indicheranno in bilancio ammortamenti pari al massimo fiscalmente deducibile e, quando i risultati economici saranno tali da determinare imponibili negativi, sospenderanno gli ammortamenti (violando peraltro anche in tale modo le disposizioni civilistiche).

Ma così operando si danneggia il sistema, si disincentivano gli investimenti da parte delle imprese, si otterranno minori utili, le imprese sposteranno sempre più la sede all’estero sfruttando anche gli accordi comunitari; in sintesi, sarà l’Erario a subire una riduzione del gettito ed il sistema Paese ad essere sempre meno competitivo.
Nel nostro Paese c’è sufficiente evasione per consentire all’Amministrazione finanziaria di concentrarsi sui disonesti e non sugli imprecisi.

Si potrebbe obiettare che la deducibilità extra contabile degli ammortamenti potrebbe portare a comportamenti non corretti da parte dei redattori dei bilanci, ma non si può non introdurre una regola giusta per il rischio che qualcuno ne abusi. Spetterà ai revisori verificare che i redattori del bilancio non arrivino ad indicare ammortamenti troppo modesti, tali da alterare la veridicità dei bilanci.

Il meccanismo proposto non costituisce una novità, né determina riduzioni di gettito, semmai potrebbe consentire, invece, una riduzione della spesa, grazie alla riduzione dei contenziosi fiscali.
La difficile costruzione di un rapporto di fiducia tra fisco e imprese non può prescindere da un comportamento esemplare prima di tutto da parte di coloro che rappresentano lo Stato, siano essi giudici o verificatori dell’Amministrazione finanziaria. Ma compete alla politica l’onere di fissare regole in grado di supportare la costruzione di tale rapporto di correttezza tra Amministrazione finanziaria e imprese.

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