Spese di pubblicità e ricerca entro il 2015 in bilancio con le vecchie norme
La soluzione sarebbe in linea con le disposizioni previste per i casi già disciplinati in via transitoria
Pubblichiamo l’intervento di Raffaele Marcello, Consigliere del CNDCEC con delega ai Principi contabili, principi di revisione e sistema dei controlli.
In questi giorni si è aperta una discussione in merito al potenziale impatto che le nuove norme del DLgs. 139/2015 potranno avere sulla situazione patrimoniale delle società a partire dai bilanci che hanno inizio il 1° gennaio 2016 e, quindi, nella gran parte dei casi, a partire dai bilanci che chiudono al 31 dicembre 2016.
Vorrei, in questo contesto, riferire alcune considerazioni personali, che originano da convinzioni maturate nei dibattiti avuti nelle diverse sedi e nelle conversazioni con i colleghi e che, spero, identifichino un pensiero non solo individuale, con specifico riferimento alla eliminazione dallo schema di Stato patrimoniale delle spese di ricerca e delle spese di pubblicità.
È bene da subito ricordare che la previsione in commento proviene dall’Unione europea e non dal legislatore nazionale. Lo schema di Stato patrimoniale di cui agli allegati III e IV della direttiva 2013/34/Ue, infatti, non riportando più tali poste, rende impossibile la riproposizione delle voci a livello nazionale. Per tale motivo, l’art. 6 comma 4 del richiamato decreto recita che “al primo comma dell’articolo 2424 del codice civile, sono apportate le seguenti modificazioni: a) le parole: «2) costi di ricerca, di sviluppo e di pubblicità» sono sostituite dalle seguenti: «2) costi di sviluppo;»”.
A mio parere, la modificazione deve essere inquadrata sotto un triplice aspetto: contabile, economico e fiscale, sia in una prospettiva di passaggio alle nuove norme che in una prospettiva a “regime”.
Dal punto di vista del bilancio, occorre attendere i futuri pronunciamenti dell’Organismo italiano di contabilità, riconosciuto anche formalmente come standard setter nazionale dal DL 91/2014.
L’OIC 24 (Immobilizzazioni immateriali), rivisto nel gennaio 2015, fornisce una indicazione della portata delle spese di ricerca (applicata) e delle spese di pubblicità già decisamente restrittiva.
Appare plausibile sostenere che talune spese in precedenza capitalizzate – perché soddisfacevano le condizioni previste – abbiano i crismi per poter essere considerate, in eguali condizioni, costi differiti, anche in ossequio al principio della correlazione dei costi con i ricavi.
Vedremo, appunto, che soluzione adotteranno i principi, rivisti alla luce delle richiamate disposizioni legislative.
Indipendentemente dalla portata della cancellazione, le poste iscritte con l’impostazione precedente e non iscritte alla luce delle nuove previsioni ridurranno il patrimonio netto della società che effettua la rettifica.
Per questo, dal punto di vista economico, alcuni operatori mi hanno fatto notare che tale repentina cancellazione (non esistono al riguardo norme transitorie ad hoc, come per il passaggio alla “nuova” contabilizzazione dell’avviamento e come per la transizione delle società non-piccole al criterio di valutazione del costo ammortizzato per titoli immobilizzati, crediti e debiti) sarebbe particolarmente penalizzante per le società.
Si consideri che la riduzione del patrimonio netto – che originerebbe da una mera operazione di bilancio, a cui potrebbero non essere collegati reali effetti economici – impatterebbe sul patrimonio “a tutti gli effetti”, applicandosi a tale eventuale riduzione le disposizioni di cui agli artt. 2446 e 2447, 2482-bis e 2482-ter c.c.
Mi chiedo, per questo motivo, considerato anche che la norma della direttiva non forzatamente deve essere applicata in via retroattiva, se non sia il caso di prevedere un passaggio più “morbido” alla nuova norma, tutelando le imprese che hanno investito nel corso degli anni precedenti nell’azienda, nonostante il periodo di crisi.
Si tratta di comprendere se, in modo ragionevole, il legislatore voglia avere un occhio di riguardo per quelle società (soprattutto medie e piccole), che, avendo resistito, speriamo, alla fase più acuta della crisi economica e finanziaria, rischiano seriamente, a fronte di una operazione, appunto, contabile, di subire conseguenze sulla propria operatività.
In questo contesto, la soluzione che ritengo essere più adeguata potrebbe essere quella di:
- continuare a contabilizzare le spese di ricerca e pubblicità esistenti al 31 dicembre 2015 con le vecchie previsioni normative (ammortamento in cinque anni ex art. 2426 comma 1 n. 5 c.c.) sino alla loro eliminazione “naturale” dal bilancio;
- contabilizzare le spese di ricerca e sviluppo nuove, ossia quelle sostenute a partire dal 1° gennaio 2016, in linea con le previsioni del DLgs. 139/2015 e in conformità con le indicazioni degli emanandi principi contabili nazionali.
Tale soluzione risulta in linea con quanto previsto per i menzionati casi già disciplinati in via transitoria dal decreto.
In ultimo, dal punto di vista fiscale, ritengo che, ad oggi, poco cambierebbe, poiché l’art. 108 commi 1 e 2 del TUIR prevede, in ogni caso, un trattamento uniforme delle spese di ricerca e di pubblicità, indipendentemente dal loro trattamento contabile in sede di passaggio e a regime.
In sostanza, le casse dell’Erario non avrebbero ripercussioni e le società potrebbero pensare a organizzarsi in modo adeguato, ammesso che qualcosa per loro cambi, per il futuro.