La Costituzione e le fonti sovranazionali tutelano non soltanto lo sciopero ma anche l’azione collettiva e l’attività sindacale in cui essa si estrinseca, posto che il diritto di sciopero è soltanto una delle manifestazioni e delle forme di autotutela collettiva dei lavoratori; la libertà sindacale di cui all’art. 39 Cost. è infatti un concetto ampio che spazia dalla libertà di scegliere le forme organizzative a quella di individuare le modalità di esercizio della propria azione. In questi termini si è pronunciata la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 9526 dell’11 aprile 2025, nell’ambito di una vicenda vertente sul licenziamento per giusta causa di un lavoratore – con mansione di operaio carrellista – che, in qualità di sindacalista e unitamente ad altri colleghi svolgenti la medesima mansione, aveva reso alcune prestazioni di lavoro del mese di gennaio 2022 secondo i turni orari previsti dal CCNL applicato al rapporto e non in forza dei turni predisposti dal datore di lavoro sulla base di un accordo collettivo di secondo livello; ciò, per protestare contro l’intenzione dell’azienda di mantenere questi turni orari senza tuttavia erogare la relativa indennità, prevista in forza del menzionato accordo. La Corte d’Appello, in riforma di quanto statuito dal giudice di prime cure, aveva ritenuto illegittimo il licenziamento irrogato al lavoratore. In particolare, i giudici di seconde cure erano giunti ad escludere che tale comportamento potesse configurarsi quale esercizio del diritto di sciopero, mancando una programmazione concordata e coordinata dell’astensione, che si era risolta in una generica protesta di un gruppo di lavoratori; veniva pertanto negata la ricorrenza di un licenziamento discriminatorio o ritorsivo. Ciò premesso, i giudici di merito avevano comunque ritenuto di escludere che il lavoratore avesse posto in essere una grave insubordinazione, punita con il licenziamento senza preavviso, escludendo così la ricorrenza di una giusta causa di licenziamento. Dunque, il comportamento veniva sussunto nell’ambito delle sanzioni conservative, con conseguente ordine di reintegrazione nel posto di lavoro. Di diverso avviso i giudici di legittimità che, con la pronuncia in commento, chiariscono come lo sciopero si sostanzi in un atto a forma libera, che non richiede la proclamazione da parte del sindacato, configurando un diritto la cui titolarità spetta ad ogni lavoratore individualmente, mentre il solo esercizio si esprime in forma collettiva. Tuttavia, precisa la Corte, non vi può essere sciopero senza l’astensione dal lavoro che, nel caso di specie, non era avvenuta; i lavoratori avevano infatti eseguito per intero l’attività lavorativa per la quale, peraltro, erano stati retribuiti in conformità alla prestazione resa. Tanto premesso, la Cassazione evidenzia come la pronuncia della Corte di merito muova da un’evidente contraddizione che si sostanzia nell’aver attribuito, da un lato, rilievo collettivo alla condotta dei lavoratori per i fini da essi perseguiti e, al contempo, nell’aver declassato la stessa condotta ad un’ottica individuale, tanto da negare il conflitto collettivo, dalla quale essa generava. A ben vedere, proseguono i giudici di legittimità, l’azione posta in essere dai prestatori di lavoro si era svolta proprio nell’ambito del conflitto tra le parti, stante la pretesa della società di non rispettare la contrattazione collettiva in vigore, cui era seguita la protesta dei lavoratori. I giudici di legittimità richiamano, quindi, le disposizioni costituzionali ed eurounitarie in materia, tra le quali viene in rilievo l’art. 28 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, secondo cui i lavoratori e i datori di lavoro hanno il diritto di negoziare e di concludere contratti collettivi e di ricorrere, in caso di conflitti di interessi, ad azioni per la difesa dei loro interessi. E ancora, viene in rilievo l’art. 6 della Carta sociale europea, in forza del quale, per garantire l’effettivo esercizio del diritto di negoziazione collettiva, deve riconoscersi il diritto dei lavoratori e dei datori di lavoro di intraprendere azioni collettive in caso di conflitti d’interesse. Ciò detto, la Cassazione conclude statuendo come nel caso di specie la condotta posta in essere dai lavoratori integrasse comunque una forma di azione collettiva tutelata dalla Costituzione e dalle fonti sovranazionali, non avendo, peraltro, alcuna attinenza con manifestazioni illecite dell’attività sindacale, come il picchettaggio, l’occupazione di azienda, il sabotaggio, il boicottaggio o il blocco delle merci. Pertanto, il licenziamento per giusta causa non può che ritenersi discriminatorio e ritorsivo e, pertanto, nullo in quanto irrogato in capo a lavoratori che, perseguendo la finalità di ottenere migliori condizioni di lavoro, ponevano in essere un’azione collettiva tutelata dall’ordinamento, senza eccedere in atti violenti o in danneggiamenti.
15 aprile 2025
/ Federico ANDREOZZI